Tredici romanzi gialli consigliati da Marcello Fois

Abbiamo già parlato  del Manuale di lettura creativa di Marcello Fois, autore di numerosi romanzi e di sceneggiature per la televisione e per il cinema. Nel testo in questione, lo scrittore sardo dedica un capitolo a Il giallo italiano di oggi e la sua genealogia da cui riporto un estratto contenente, appunto, tredici consigli di lettura:

Per avventurarsi nella variegata vicenda della letteratura di genere in Italia vorrei allora tentare un percorso di lettura. Un breve e parziale elenco che ha lo scopo di stabilire nei fatti la continuità di cui si è parlato e, soprattutto, di fornire un elenco che possa essere una sorta di viatico storico per una lettura più efficace di autori ritenuti a torto <<frutti spontanei>>. Un excursus che non ha niente di esaustivo, ma che può evidenziare qualche argomento fondamentale per capire un fenomeno che non è più liquidabile solo in termini di letteratura nazionalpopolare, e sta avendo crescente successo in Italia e all’estero.

 Il cappello del prete (1888) di Emilio De Marchi, una storia di provincia e di paese, in un’Italia giovanissima. La caratteristica del locale, nei casi migliori privo di localismo, è un dato costante, tuttora importantissimo, in questo sistema letterario. Il paese che ne viene fuori è spesso uno spazio dei sentimenti, un impasto di locale e globale che senza rifiutare il provincialismo lo colloca nell’universale di <<una ragione che lotta contro il rimorso>>.

 La mano tagliata (1912) di Matilde Serao è particolare per come i tanti rimandi a Conan Doyle, spesse vere e proprie citazioni, siano stati inseriti in un ambito assolutamente italiano, senza cedere a concessioni che non siano in programma: un ritrovamento, un mistero e la sua risoluzione attraverso la ragione.

Canne al vento (1913) di Grazia Deledda propone un innesto fra la grande tradizione europea, russa in particolare, e uno specifico geografico come quello della Barbagia, anche se forse ha più legami, per lo meno letterariamente, con Dostoevskij che con la nascente scrittura di genere italiana.

Il banchiere assassinato (1935) di Augusto De Angelis è la prima avventura di un personaggio, il commissario De Vincenzi, al quale solo l’ottusità di una certa critica ha impedito di assurgere alle vette rappresentative di Maigret.

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1946) di Carlo Emilio Gadda rappresenta la prima straordinaria sintesi di un percorso già lungo. È un giallo ed è italiano nella sua connotazione più rappresentativa. Lo specchio di una nazione uscita da una guerra devastante, una nazione fatta di differenze più che di consonanze, fatta di lingue e dialetti. Un capolavoro.

Il giorno della civetta (1961) di Leonardo Sciascia che lega l’impegno politico e sociale alla letteratura di consumo, stabilendo un dato che è sostanziale nell’ambito del giallo italiano: si sceglie una strutta data come quella del thriller per parlare d’altro, della mafia per esempio.

Traditori di tutti (1966) di Giorgio Scerbanenco, scrittore straordinario riesumato dalle ultime generazioni come padre spirituale e letterario, raffinatissimo creatore di trame magnifiche. Un maestro.

I racconti del maresciallo (1967) di Mario Soldati, importante per quanto di locale e quotidiano è riuscito a innestare nella tradizione novellistica alta.

La boutique del mistero (1968) di Dino Buzzati, una vetta, l’esempio di come la grande letteratura sia il prodotto della convivenza di fattori differenti: il giallo, la tradizione mitteleuropea e persino il romanzo sperimentale.

Le piste dell’attentato (1974) di Loriano Machiavelli, ovvero la necessità di usare la letteratura per raccontare un momento storico particolare del paese, l’impegno critico, un dato prettamente originale, tutto italiano.

Il nome della rosa (1980) di Umberto Eco che dopo Gadda dà la seconda spallata al luogo comune che la letteratura di genere debba essere necessariamente di serie B. Le ultime generazioni gli devono molto, ha dimostrato come un modello che coniugasse buona scrittura e trama fosse possibile anche in Italia.

Il cane di terracotta (1996) di Andrea Camilleri, l’esito più eclatante di un processo lungo e sofferto che è passato direttamente dall’autore al lettore, il mercato ha dovuto adeguarsi. Come Gadda, Camilleri ha avuto il pregio di porre l’obiettivo sulla questione della lingua, dimostrando che l’Italia ha la straordinaria specificità di potersi permettere una letteratura nazionale, senza l’obbligo di una lingua nazionale.

L’isola dell’angelo caduto (1999) di Carlo Lucarelli, tradizionalissimo e innovativo, da qui in poi sarà molto difficile relegare il giallo italiano a categorie certe. Portatore di un insegnamento che è ormai patrimonio comune: un buon libro non ha genere.

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