Sullo scrivere

Scrivere di scrittori – Paul Auster e La stanza chiusa

Nel suo romanzo breve La stanza chiusa, Paul Auster ci racconta, tra le altre cose, di uno scrittore immaginario e delle sue opere, naturalmente fittizie. È una dinamica con cui è difficile confrontarsi, perché porta con sé il rischio di esprimersi per luoghi comuni, senza riuscire a convincere il lettore, senza farlo sentire davvero dentro la storia. Paul Auster, però, in questa dinamica si muove a meraviglia, avendo spesso scritto di scrittori (anche il protagonista di Follie di Brooklyn, Nathan Glass, è alle prese con la scrittura di un libro) in modo convincente. La stanza chiusa, che compone insieme a Città di vetro e Fantasmi la Trilogia di New York, inizia con la ricezione, da parte del narratore, di una lettera inviata da Sophie, moglie del suo amico Fanshawe. Per il narratore, Fanshawe non è solo un buon amico di gioventù perso poi di vista per i casi della vita, è molto di più. I due sono cresciuti insieme, inseparabili, e per il narratore l’altro era un vero e proprio mito, con tutti i tentativi di imitazione e i conflitti che ne seguono. Adesso Fanshawe è scomparso, e la moglie chiede aiuto al narratore, ma non per ritrovarlo:  Uno giorno,…
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La definizione di storytelling secondo Alessandro Baricco

<<Storytelling è una parola diventata antipatica alla gente>> dice Alessandro Baricco (di cui in passato abbiamo suggerito la lettura di Mr Gwyn) durante una delle Mantova Lectures, <<perché è usata troppo spesso. Perfino quando si ristruttura un negozio, o si parla di relazioni sentimentali, ecco che viene fuori il termine storytelling, eppure in realtà in molti non sanno esattamente di cosa si tratti>>. Le Mantova Lectures, messe in scena per la prima volta nel settembre del 2016 durante la XX edizione di Festivaletteratura, sono definite dallo stesso Baricco non delle vere lezioni, ma tre percorsi della mente, dedicate alla verità, alla narrazione e alla felicità. Il percorso sulla narrazione inizia da Alessandro Magno, di cui Baricco racconta il sogno di conquistare l’Impero persiano. Partendo dal modo di comunicare del conquistatore macedone, dal modo di trasmettere, coi propri discorsi e i propri gesti, qualcosa che andava ben oltre il bisogno di motivare e coinvolgere i soldati, Baricco arriva a parlare, appunto, di storytelling. Dopo le considerazioni iniziali su quanto oggi il termine sia usato – in maniera non sempre appropriata – lo scrittore torinese fornisce la definizione di storytelling studiata insieme ai suoi collaboratori della Scuola Holden (avendo comunque sottolineato che la…
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Un personaggio come simbolo – Charlie in Follia di Patrick McGrath

Premessa: lo scritto che segue svela buona parte del finale di Follia di Patrick McGrath, di cui trovate il consiglio di lettura qui. In quasi tutti i manuali di scrittura creativa leggiamo che un personaggio non dinamico, che non si muove, non si evolve, non è un personaggio utile. Come qualsiasi concetto, anche questo ha un’eccezione. Nella narrativa possiamo trovare, infatti, personaggi che, pur non compiendo azioni, pur essendo inerti, svolgono un ruolo importante nella trama; basti pensare a romanzi, film e opere teatrali in cui un personaggio pesa per la sua assenza, e la sua attesa muove le redini della suspense. In Follia, di Patrick McGrath, troviamo un esempio di personaggio che esercita un ruolo importante sugli altri: Charlie. Va detto subito che Charlie non è un personaggio del tutto assente, al contrario compare spesso nel romanzo e compie varie azioni, però, a mio avviso, più che per scelta le compie perché è costretto a compierle (si potrebbe discutere se dal destino, dagli altri personaggi o dalla trama, a seconda dei punti di vista, ma non è questo il punto), e potremmo anche considerarlo un simbolo. Per capire meglio, servono alcune indicazioni sulla trama: Follia è la storia dell’ossessione…
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Lo scrittore è un testimone, non un giudice – dalle lettere di Čechov

Tali sono la fama e il consenso che circondano Anton Čechov che quasi ogni scrittore (soprattutto di racconti) del XX secolo capace di farsi apprezzare dalla critica ha dovuto subire la gravosa (e spesso disattesa) definizione di figlio di Čechov o erede di Čechov. Sarebbe impossibile, del resto, compilare una lista esaustiva di tutti gli autori – Raymond Carver forse il più famoso – che hanno considerato o tutt’oggi considerano Čechov come principale maestro. Il suo epistolario, i suoi diari di viaggio, gli appunti sulle inchieste formano un vero e proprio manuale di scrittura creativa. Molto interessante, in tal senso, la raccolta Né per fama, né per denaro edita da BEAT. Al centro del testo c’è l’esperienza vissuta dallo scrittore sull’isola di Sachalin, che Čechov ha raggiunto, attraversando la Siberia, all’età di trent’anni, per verificare le condizioni di vita dei detenuti e delle loro famiglie. Effettuare quell’inchiesta ha tanto segnato l’autore russo da fargli poi dire: <<O il viaggio mi ha maturato o sono impazzito>>. Oltre ad arricchirci dal punto di vista della conoscenza storica, le sue considerazioni sul lavoro svolto presso l’isola di Sachalin possono insegnare tanto su come, anche oggi, si debba raccogliere materiale per un reportage. Nelle altre…
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Cos’è un McGuffin?

Molti manuali di scrittura creativa parlano della tecnica del McGuffin, soprattutto nei capitoli dedicati alla suspense, e il termine viene usato molto spesso anche all’interno delle recensioni delle serie tv. Si tratta di una definizione recente, che non può vantare secoli di tradizione alle spalle, ma ciò non impedisce di individuarne i contorni in maniera chiara per evitare un uso scorretto. Pare che a coniare il termine sia stato Alfred Hitchcock che, nel saggio-intervista a lui dedicato da François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, racconta: Si può immaginare una conversazione tra due uomini su un treno. L’uno dice all’altro: <<Che cos’è quel pacco che ha messo sul portabagagli?>> L’altro: <<Ah, quello è un McGuffin>> Allora il primo: <<Che cos’è un McGuffin?>> L’altro: <<È un marchingegno che serve per prendere i leoni sulle montagne Adirondack>>. Il primo: <<Ma non ci sono i leoni sulle Adirondack>> Bene: <<Allora non è un McGuffin!>> Come vedi, un McGuffin non è nulla Il McGuffin è di fatto un espediente, usato per portare l’attenzione del lettore o dello spettatore su un’azione, un oggetto o un’informazione che non ha altro scopo che portare avanti la storia. Restando a Hitchcock, nel suo Intrigo internazionale alcuni misteri sono fondamentali…
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A che ora e dove preferiva scrivere Cortázar?

Julio Cortázar, nato a Ixelles nel 1914, oltre a essere considerato tra i fondatori dell’iperromanzo per le caratteristiche del suo Rayuela (di cui abbiamo parlato qui), è autore di una produzione letteraria ampia e variegata. Nel 1977, lo scrittore belga di nascita, naturalizzato francese ma cresciuto a Buenos Aires, ha rilasciato una lunga intervista alla televisione pubblica di una Spagna appena uscita dal franchismo (e nello specifico al giornalista Joaquín Soler Serrano). L’intera intervista (che si può guardare in lingua originale su youtube cliccando qui) viene riportata nel volume L’altro lato delle cose edito da Mimesis, da cui mi fa piacere riportare la domanda, e la conseguente risposta, sulle abitudini di scrittura di Cortázar.   Joaquín Soler Serrano: Scrivi seguendo degli orari prefissati, o scrivi quando hai l’assoluta necessità di farlo? Mi piacerebbe sapere, inoltre, se preferisci scrivere a casa o fuori casa, se riesci a isolarti in un bar o se, invece, hai bisogno del silenzio. A volte hai detto che non sai se sei tu a scrivere i tuoi racconti, o se ti sono dettati da qualche voce misteriosa, che ti fa sentire in uno stato che i francesi chiamano “état second”, che è una sorta di equilibrio tra…
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Una morte raccontata da Javier Marías

Scrivere narrativa significa – tra le altre cose – inventare un universo, e se è vero che la creazione di qualunque cosa è sempre difficilissima, in determinati casi l’asticella si alza ancora di più. Per esempio è molto complicato descrivere scene di sesso – l’ovvio e il retorico sono sempre pericolosamente dietro l’angolo, per non parlare del volgare – e spesso anche autori navigati preferiscono glissare, raccontando il prima e il dopo dell’atto sessuale. Lo stesso vale per le scene di morte. Anche in questo caso molti scrittori preferiscono allontanare la lente d’ingrandimento dalla scena in questione, riportandola velocemente per poi soffermarsi sulle conseguenze, evitando così i tanti rischi che la descrizione di un momento così importante porta con sé. Naturalmente, però, i grandi sanno raccontare tutto, ognuno a modo proprio, col proprio stile e linguaggio, perché – vale la pena ripeterlo – non esiste a priori un modo esatto di raccontare qualcosa. Lo stile di Javier Marías, per esempio, è prolisso e volutamente complicato, a la sua imitazione gratuita può far scivolare facilmente nel ridicolo. Ma è anche uno stile che, analizzato con cognizione di causa, può insegnare molto. Nel suo Domani nella battaglia pensa a me troviamo appunto…
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Come (re)iniziare una sessione di scrittura – un consiglio di Ernest Hemingway

Per un aspirante scrittore, si sa, non è mai facile ritagliare il tempo da dedicare alle proprie opere. Lavoro, famiglia, vari impegni più o meno improrogabili spesso tengono lontani dalla scrivania e dal taccuino. Inoltre può capitare che, una volta trovato questo benedetto tempo, non si riesca a sfruttarlo. Ancora oggi, purtroppo, rimane diffusa la tendenza a guardare con sospetto l’uso della programmazione in un ambito creativo. Di diverso avviso era Ernest Hemingway. Nel suo – incompiuto – Fiesta mobile lo scrittore statunitense, oltre a raccontare il suo rapporto con la città di Parigi e con numerose personalità letterarie, si sofferma su quello con la scrittura. Durante il periodo parigino, pur deciso a mettere da parte l’attività giornalistica per dedicarsi alla narrativa, Hemingway dovette affrontare diverse difficoltà, e rifletté a lungo sul metodo e l’ispirazione. Nel secondo capitolo di Fiesta mobile, Hemingway ci confida come affrontava le difficoltà di far partire un nuovo racconto: cercando la verità e la semplicità, e interrompendo una seduta quotidiana di lavoro sapendo perfettamente da dove riprendere il giorno successivo. A seguire, le parole del celebre autore: […] Lavoravo sempre finché non avevo concluso qualcosa e smettevo sempre quando sapevo quel che sarebbe successo dopo. Così…
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Virginia Woolf a un giovane poeta

Oltre a essere autrice di romanzi e racconti, Virginia Woolf (di cui abbiamo parlato suggerendo la lettura de Le ore di Michael Cunningham) ha svolto una fervente attività di critica letteraria, lasciandoci, tra gli altri, il celebre Una stanza tutta per sé. Consigli a un aspirante scrittore, curato da Roberto Bertinetti, raccoglie lettere, riflessioni e articoli della scrittrice britannica. Il libro si divide in tre sezioni: Leggere; Scrivere; Pubblicare. Nella seconda troviamo una lettera al giovane poeta John Lehman. Nel testo, Virginia Woolf si sofferma su vari argomenti legati alla poesia e, in conclusione, parla dell’importanza, per un autore, di cercare la propria maturità artistica e umana prima di pubblicare. La lettera risale al luglio del millenovecentotrentadue, ma la raccomandazione di non avere fretta di giungere a una pubblicazione resta un utile consiglio per ogni aspirante scrittore di oggi:   Sono sicura che quest’ultima cosa è importantissima. (poche righe prima l’autrice consigliava a Lehman di non pubblicare niente prima dei trent’anni) La maggior parte dei difetti nelle poesie che ho letto, credo, si può spiegare con il fatto che sono state esposte alla luce furiosa della pubblicità quando erano ancora troppo giovani per reggerne l’impatto. Le ha ridotte a un’austerità scheletrica, sia…
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William Cane tra riscoperta della retorica antica e importanza dell’imitazione

William Cane – pseudonimo di Michael Christian – ha insegnato in college e università, pubblicato un best-seller tradotto in diciannove lingue (L’arte di baciare), scritto e diretto spettacoli teatrali rappresentati a Broadway. Nell’introduzione del suo saggio Scrivere come i grandi, edito da Dino Audino, William Cane parte da una considerazione: Quanti aspiranti scrittori, in questo momento, staranno sbattendo la testa sulla tastiera dei loro computer mentre si chiedono: <<Perché non riesco a scrivere come i grandi della letteratura?>> Subito dopo, Cane spiega che i grandi scrittori del passato hanno avuto una formazione diversa da quella che si riceve oggi. Secondo lui, negli ultimi ottant’anni circa, si è trascurata una pratica che invece è stata fondamentale per autori come Faulker, Dickens, Flaubert, Melville e Shakespeare. Quando frequentavo il college, una sera in biblioteca mi sono imbattuto in uno scaffale di libri sulla retorica antica. Ho scoperto che questa materia non veniva insegnata in nessun corso di nessun college; almeno, io non ne ho trovati. Perché mai dovrebbe importarvene, se in fondo la retorica non è che suono ed enfasi, qualità che non dimostrano null’altro se non la capacità di persuasione? Certo, a volte è solo questo, ma è anche molto più che…
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