Il calcio mundial di Enzo Bearzot

il calcio mundial di Enzo Bearzot

Nella sezione letture di questo sito, suggerisco romanzi – e, più raramente, saggi – che mi hanno colpito, che ho amato, e che penso possano costituire una lettura sia piacevole che stimolante.
Ogni libro che ho consigliato finora è stato letto, o riletto, poco prima di scrivere l’articolo a esso dedicato.

Finora, appunto, perché il pezzo di oggi costituisce un’eccezione.
Innanzitutto, è la prima volta che scrivo di un saggio sportivo. In passato ho consigliato la lettura de L’arte di vivere in difesa, di Chad Harbach, ma per quanto lo sport sia importante in quella storia, siamo nel campo della narrativa.
Altra differenza: è vero che ho letto con molta attenzione Il calcio mundial di Enzo Bearzot, ma più di vent’anni fa, e da allora non ho più avuto l’occasione di riprenderlo in mano. Per di più il libro, uscito nell’86, oggi è introvabile, e per quanto diversi passaggi siano ancora vivi nella mia mente, non sono in grado di dire di quante sezioni sia composto il testo né quali siano esattamente tutti gli argomenti trattati.

Facciamo un salto indietro. È fatto notorio che la nazionale italiana non prenderà parte, non essendo riuscita a qualificarsi, alla ventunesima edizione dei mondiali di calcio, che si svolgeranno in Russia tra poche settimane.
Meno noto, naturalmente, il fatto che io sia un grande appassionato di calcio, e che mi sia avvicinato a questo sport proprio grazie ai mondiali.

Il primo ricordo calcistico che ho, come credo valga per tanti italiani nati negli anni ’80, riguarda Italia 90, ma, dato che all’epoca avevo sei anni, quel mondiale per me è collegato più alla maglietta e al telo da mare con la stampa del Ciao, la famosa mascotte di quei mondiali, o ai miei parenti che ascoltavano la semifinale con l’Argentina con l’autoradio a causa di un black-out di zona, che a vere immagini di gioco.
Per tutte le elementari non sono stato molto interessato alla serie A, se non come modo di aggregazione tra compagni di classe con le regole della rivalità tra milanisti, juventini e interisti, finché, passati quattro anni, alla successiva Coppa del Mondo, è scattato l’innamoramento.

Credo che USA 94 abbia legato al pallone moltissimi ragazzini, anche perché quell’edizione dei mondiali è stata caratterizzata, per noi italiani, da tanti elementi degni delle più classiche narrazioni: un territorio sconosciuto (rispetto a cui i media ripetevano spesso l’enunciato sogno americano), una partenza a stento, l’eliminazione a un passo, l’esplosione di Roberto Baggio (il cui codino è diventata una vera icona degli anni ’90), il cammino fino alla finale, lo scontro con i favoriti di sempre, i brasiliani, la suspense dei rigori, l’accettazione della sconfitta (e del “tradimento” costituito dagli errori proprio di due simboli di quella squadra: Baggio, appunto, e il capitano Franco Baresi).
Da quel momento, ho iniziato a guardare ogni partita che fosse trasmessa in tv (Sky e lo streaming erano lontanissimi, Tele+ era un’emettente di nicchia, e in chiaro bisognava accontentarsi delle coppe e della nazionale) e anche a leggere tutti gli articoli sul calcio che mi capitavano a tiro.

Proprio per questo, quando nell’estate del ’97, in villeggiatura, vidi il libro in questione a casa di alcuni amici, lo chiesi subito in prestito. Era inizio luglio, e fino a settembre lo tenni sul comodino accanto al letto, gustandomene tante pagine ogni sera, e nonostante avessi terminato presto la lettura lo rilessi più volte.
Non osai chiedere che mi venisse regalato, ma ammetto che sperai che il proprietario se ne “dimenticasse”. Così non fu, e, al termine della stagione estiva, dovetti restituirgli il libro. Come nell’ordine delle cose, pian piano mi scordai di quel testo, finché, pochi giorni fa, mi è tornato prepotentemente in testa.

Mi sono fermato a riflettere sul perché. Certo, l’avvicinarsi dei mondiali, e il dispiacere, da tifoso azzurro, che l’Italia non ci sarà, può essere una spiegazione. Ma questo avrebbe dovuto richiamare altri ricordi, come i festeggiamenti per la vittoria del 2006, o l’edizione precedente, del 2002, seguiti insieme ai compagni di classe in concomitanza con la preparazione dell’esame di maturità, piuttosto che un libro letto più di venti anni fa.
Il punto è che quel libro, credo adesso, ha avuto per me un significato che va oltre l’avermi fatto appassionare di più a questo sport, un significato che si collega agli argomenti trattati su queste pagine, e che perciò merita di esserci, nonostante la sua attuale introvabilità.

Come dicevo, prima de Il calcio mundial, avevo già letto di calcio, ma sempre su quotidiani, quindi articoli di cronaca di partite giocate, o di presentazione di altre in procinto di disputarsi, o sul mercato. Naturalmente, il contenitore influenza il contenuto, e di conseguenza un saggio, soprattutto un saggio dal taglio personale come quello in questione, mi ha insegnato come un argomento che appassiona possa essere approfondito in modo piacevole. È un concetto lapalissiano per un adulto (anche se, temo, non per tutti), ma per un ragazzino, scoprire in maniera diretta che leggere non è noioso, e che può unire l’apprendimento di conoscenza (certo, nella fattispecie conoscenza su un argomento leggero, ma non è questo il punto) all’intrattenimento, è ben diverso dal sentirselo dire.

Altro punto: anche se Il calcio mundial non è stata la mia primissima lettura notturna (“record” che spetta a Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, come ho raccontato qui), rimane comunque una delle prime, e ha consolidato, in me, questo piacere che è continuato (e, quando possibile, ancora continua) per anni.
Infine, la questione del gusto. Mi sono sempre considerato – e so di essere considerato da chi mi conosce – una persona che guarda con attenzione al passato, con tutti i benefici e gli svantaggi che questo comporta, sia sul piano umano che letterario.

A tredici anni, ovviamente, non avevo consapevolezza di questa mia tendenza. Penso, però, che l’aver apprezzato, a suo tempo, Il calcio mundial, debba essere considerato come una vera avvisaglia di questo gusto
Per quanto oggi mi sia impossibile rivedere quel libro (unici dati che ho trovato online sono il mese della pubblicazione, aprile del 1986, che il volume è stato curato da Antonio Tavarozzi, e che Bearzot ha ricevuto la collaborazione di Marino Bartoletti), posso affermare con una certa sicurezza che fosse permeato da una forte dose di nostalgia.
Nell’aprile del 1986 Bearzot, a cinquantanove anni, si apprestava a terminare la carriera di allenatore della nazionale iniziata nel 1975. Al termine dei mondiali messicani disputati in giugno, durante i quali l’Italia non riuscì a difendere il titolo conquistato in Spagna quattro anni prima, avrebbe infatti rassegnato le dimissioni nonostante un contratto che continuasse fino al 1990.

Il calcio mundial è stato pubblicato, immagino, come antipasto appunto per i mondiali messicani (nel mondo pre-internet e pre-smartphone opere di questo tipo erano molto apprezzate dagli appassionati, e do per scontato che riuscissero a raggiungere risultati di vendita oggi inimmaginabili), e in effetti Bearzot dava alcune informazioni sulle varie nazionali che avrebbero preso parte alla competizione e su cosa avrebbe significato giocare a circa duemila metri sul livello del mare, ma guardava anche indietro a tutta la sua esperienza nel calcio, sia da giocatore (che ottenne anche una presenza in nazionale, durante la quale gli toccò di marcare il fuoriclasse ungherese Puskás) che da allenatore, e in generale a riflessioni sulla tecnica, sulla tattica e sulla cultura del gioco.
Parlava però, del gioco che aveva vissuto lui, un gioco che non solo dista anni luce da quello di oggi, ma che era già lontanissimo da quello che seguivo io, tra tv e giornali, nella seconda metà degli anni ’90. Pur rendendomene conto mentre leggevo, questo non mi allontanò dal testo, anzi probabilmente fu proprio quella nostalgia e quell’attenzione al passato a farmelo amare.

Non è un caso che, nelle mie letture, mi capita spesso di prediligere romanzi del passato (e non parlo solo di classici dell’ottocento, ma anche di qualche decennio fa) rispetto a quelli contemporanei.
Probabilmente Il calcio mundial ha contribuito, se non alla creazione, quantomeno al riconoscimento dei miei gusti.

In conclusione, questo pezzo spezza una lancia a favore della saggistica (biografica o meno) sportiva, spesso bistrattata da critica di settore e lettori “raffinati”.

Chiudo infatti suggerendo un percorso di lettura citato da altri prima di me: dalla biografia di un giocatore puoi arrivare a Open, la biografia del tennista Agassi; da Open, il cui ghost writer è J.R. Moehringer, puoi arrivare a Il bar delle grandi speranze dello stesso Moehringer; da Il bar delle grandi speranze puoi arrivare a Il grande Gatsby, che Moehringer cita spesso, puoi arrivare ovunque.

Il tempo per leggere non è mai tanto, ma, almeno, non saremo distratti dall’Italia ai mondiali.

Allego il link a una puntata di Sfide, dal sito della rai, dedicata proprio a Enzo Bearzot

 

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