Lungo il confine tra stenti e sogni con Cormac McCarthy

Uno dei primi motivi per cui si legge è per evadere.

Da ragazzini siamo scappati dalla noia delle nostre camerette – e, a volte, dai compiti – per intrufolarci dentro il sottomarino del Capitano Nemo o per raggiungere Labuan insieme a Sandokan.

Andando verso l’età adulta, si passa di solito a un altro tipo di narrativa, ma è bello, a volte, tornare all’Avventura, soprattutto quando l’autore di turno è molto di più che uno scrittore di genere.

Cormac McCarthy – statunitense classe ’33 – ha raggiunto un’enorme popolarità grazie al fatto che molti suoi romanzi sono poi diventati film; la trasposizione di maggior successo è probabilmente Non è un paese per vecchi, diretto dai fratelli Coen, vincitore di diversi premi agli Oscar del 2008, compreso quello per miglior film. Su queste pagine, abbiamo suggerito la lettura anche del suo La strada.

Ma i romanzi di McCarthy di cui voglio parlare sono i tre che compongono la Trilogia della frontiera, e cioè Cavalli selvaggi (portato anch’esso sul grande schermo da Billy Bob Thornton con il titolo Passione ribelle), Oltre il confine, e Città della pianura.  Le tre opere non raccontano un’unica storia – sono infatti autoconclusive – ma condividono l’ambientazione   – siamo nella zona di confine tra il Texas e il Messico, uno scenario che mi è particolarmente caro essendo stato iniziato al western da mio padre, appassionato di Sergio Leone e Tex Willer – e il protagonista della prima, John Grady Cole, e della seconda, Billy Parham, si ritroveranno a lavorare insieme nello stesso ranch nella terza.

Sono storie di frontiere, e quindi si parla di cowboy, di cavalli (e di ladri di cavalli), di lupi, di bestiame, di soldati dai metodi poco ortodossi, di potenti signorotti locali, di prigioni in cui non si hanno diritti, di vecchi santoni, di donne a volte sfortunate, altre inarrivabili.

I personaggi che abitano le storie de La trilogia della frontiera sono uomini – in quel mondo lì si deve diventare uomini molto presto – pratici, che parlano poco, che sanno fare le cose di cui hanno bisogno per sopravvivere: sparare, cavalcare, difendere le vacche dai predatori, riconoscere un cavallo buono da uno che non lo è.

Però, e qui McCarthy supera il limite di un autore di genere, sono anche personaggi capaci di farsi delle domande che non riguardano strettamente la sfera della sopravvivenza, e di conseguenza di compiere azioni che non hanno nulla a che fare con un obiettivo razionale.

Questo contrasto si ritrova nel modo di scrivere di McCarthy, che alterna pagine quanto mai essenziali ad altre, tanto sentimentali che, se l’autore non fosse un maestro dell’arte di raccontare, diventerebbero eccessive.

Per esempio ci può capitare di seguire il lungo viaggio a cavallo di un personaggio ritrovando sempre la costruzione soggetto-verbo-complemento, senza mai una subordinata in più dello stretto necessario. Il viaggio scorrerà lento, finché capiremo che è stato lento perché anche noi, grazie a McCarthy, abbiamo affrontato dieci giorni a cavallo lungo colline inospitali. Poi incontreremo un vecchio cieco di cui ascolteremo un lungo monologo perennemente in bilico tra saggezza e follia, faremo a coltellate con un tizio che vuole farci fuori solo perché non ci ha mai visto prima e conosceremo una donna di cui vorremmo saperne di più, ma di cui non capiremo nulla.

Questa alternanza di fatti e stile potrebbe dar luogo a delle stonature, ma dato che McCarthy, come già scritto sopra, è un maestro della narrazione, e ne La trilogia della frontiera ci imporrà sempre il ritmo giusto al momento giusto e noi non potremo fare altro che seguirlo, sperando di non dover mai allontanarci dalle sue pagine.
In Cavalli selvaggi, John Grady Cole afferma che non esistono cavalli cattivi.
Di sicuro esistono storie brutte e storie belle; quelle di McCarthy appartengono certamente al secondo tipo.cavalli selvaggi - cormac mccarthy

Consigli di lettura su romanzi della letteratura americana:

Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe

Quella sera dorata di Peter Cameron

Le ore di Michael Cunningham

Uomini e topi di John Steinbeck

L’arte di vivere in difesa di Chad Harbach

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2 Comments

  1. Pierpaolo

    Se é avvincente come il film allora lo leggerò!

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    1. Pierluigi Siclari (Post author)

      Sì, sono tutti romanzi molto avvincenti.

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