Tre consigli di Bernard Malamud

Bernard Malamud (1914-1986) è stato autore di racconti e romanzi (tra cui Il migliore, portato sul grande schermo nel 1984 con Robert Redford nei panni del protagonista, e Il commesso) e insegnante di scrittura creativa.

Dalle sue lezioni, dai suoi saggi e dalle sue interviste Francesco Longo ha estrapolato per minimum fax una serie di riflessioni sulla letteratura raccolte nel volume Per me non esiste altro – la lettura come dono, lezioni di scrittura.
Questa raccolta dovrebbe essere letta (e riletta, e riletta) da ogni aspirante scrittore.
Di conseguenza, ho scelto di proporre tre frammenti; il primo riguarda l’importanza della riservatezza:

Uno scrittore non dovrebbe mai svelare i segreti del suo lavoro, soprattutto quando è ancora in attività. O almeno, a me dà fastidio raccontarli. La scrittura è una cosa così fragile, ed è strettamente legata alla capacità di continuare a mantenere vive le illusioni. Hemingway non parlava mai delle sue storie, perché se ne parli le racconti e si dissolvono.

Successivamente Malamud rivolge la propria attenzione all’onesta:

Forse lo strumento di base per determinare l’ampiezza e la qualità del talento è capire quanto può essere onesto uno scrittore. Alcuni uomini e donne raggiungono un’onestà vera. La chiave potrebbe essere la conoscenza di sé, vale a dire, l’artista ha un’estesa e profonda percezione di ciò che può fare, e inizia a farlo anche se spesso non ci riesce. Ma non mente a se stesso. Alcuni scrittori mentendo attraverso il proprio talento lo distruggono. Altri non raggiungono mai un’onestà sufficiente per scrivere in modo efficace. Mentire nella scrittura vuol dire fare un patto con l’inganno, diventare parte di questo inganno.

  Yeats dice: un uomo può incarnare la verità ma può non conoscerla. Io dico: se un uomo incarna la verità la conoscerà. Verrà spinto a guardare dove non ha mai guardato prima. Verrà costretto a vedere quello che non ha mai visto prima.

Infine, Malamud si dedica anche alla sofferenza, esprimendo un concetto non diverso da quello proposto (molti anni dopo) da David Lynch, che abbiamo visto in precedenza:

La sofferenza? Non mi piace. Meno soffriamo, meglio è. Ne avremo sempre a sufficienza per ricordarci che siamo umani.
  Per quanto riguarda l’uso della sofferenza in narrativa, be’, se ce l’hai, cosa ci puoi fare? Se hai la lana tanto vale tesserci un tappeto. Da scrittore mi chiedo cosa si possa trarre dalla sofferenza – cosa ricavarne che prima non si aveva, cosa trasmettere che prima non si poteva? Si può dire che questo sia romantico, e forse lo è, ma è un modo di usare l’esperienza a proprio vantaggio.  

Bernard Malamud

 

Per altri consigli di scrittura:

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