Tag Archive: Leggere

La definizione di arte e narrativa secondo la grandissima Flannery O’Connor

Flannery O’Connor (1925-1964) è stata una delle scrittrici più importanti del secolo scorso, nonostante abbia iniziato a soffrire fin dai venticinque anni di una malattia cronica autoimmune – lupus eritematoso sistemico – che l’ha portata alla morte prima di compiere i quaranta. Flannery O’Connor è nata a Savannah, in Georgia, e essere un abitante del Sud, prima ancora che una scrittrice del Sud, è una caratteristica fondamentale della sua narrativa. Ha scritto due romanzi e una trentina di racconti (in Italia, un’edizione della Bompiani li raccoglie tutti), ed è stata invitata spesso a tenere conferenze all’interno di scuole e università. Il volume edito da minimun fax, intitolato  Nel territorio del diavolo – Sul mistero di scrivere  comprende alcuni interventi dell’autrice. Rivolgendosi agli studenti di un corso di scrittura, Flannery O’Connor definì il proprio concetto di arte: […] A questo punto sarà meglio che mi fermi e spieghi l’uso che faccio della parola arte. Arte è una parola davanti alla quale la gente batte subito in ritirata, perché troppo altisonante. Ma io, per arte, intendo semplicemente scrivere qualcosa che sia dotato in sé di valore e di efficacia. Base dell’arte è la verità, nella sostanza come nella forma. Chi nella propria opera…
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La concezione del dolore secondo David Lynch

David Lynch è regista e sceneggiatore di film noti per la componente surrealista, le sequenze oniriche e l’uso di simboli di difficile interpretazione. Ancora oggi, sul web, fan accaniti e spettatori occasionali discutono sul significato dei suoi film, anche di quelli usciti più di trent’anni fa. Lynch è decisamente restio a parlare dei suoi film; ad esempio non ha mai voluto commentare il significato della chiave e della scatola di Mulholland Drive, anche se in riferimento allo stesso film ha indicato una lista di dieci indizi (dieci domande) per la comprensione dell’opera. Il suo atteggiamento ha aumentato l’alone di mistero che avvolge la sua produzione, e anche numerose critiche. Nel 2006 Lynch ha pubblicato In acque profonde, libro che raccoglie le sue riflessioni sulla vita, sul cinema, sulla meditazione e sulla creatività. Nell’opera Lynch conferma la riluttanza a parlare dei suoi lavori: I commenti del regista aprono la strada alla possibilità che il pubblico cambi la propria interpretazione della cosa in assoluto più importante: il film. Non sminuisco affatto l’importanza di raccontare gli aneddoti che circondano un film, ma commentarlo durante le riprese è un sacrilegio.   Penso invece che bisognerebbe cercare di guardarlo tutto dall’inizio alla fine, possibilmente in…
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Un nome da torero – Sepulveda riporta un suo personaggio in Cile

Un nome da torero, pubblicato nel ’94, è il terzo romanzo dello scrittore cileno Luis Sepulveda . Dopo due opere dedicate soprattutto all’ambiente (nello specifico il rispetto per la foresta Amazzonica ne Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, di cui abbiamo parlato qui,  e la caccia illegale alle balene ne Il mondo alla fine del mondo) Sepulveda passa a un romanzo che strutturalmente può essere definito un noir e che soprattutto è caratterizzato da un forte respiro autobiografico. Juan Belmonte, omonimo del torero citato da Hemingway in Morte nel pomeriggio, è un ex guerrigliero cileno che vive nella Berlino ormai liberata dal Muro, lavora come buttafuori in un locale a luci rosse e si scontra spesso con un gruppo di razzisti. L’incarico di recuperare le monete facenti parte della Collezione della Mezzaluna Errante, trafugate in Cile durante la seconda guerra mondiale, dà a Belmonte la possibilità di tornare in patria (lo stesso Sepulveda fu costretto a restare lontano dal Cile per dodici anni) e di cercare la donna che ama, Veronica. Noi lettori seguiremo Belmonte fino alla Terra del Fuoco, e noteremo come tutti i personaggi il cui destino gravita attorno alle monete da recuperare siano stati segnati in maniera indelebile,…
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Philip Roth e Lo scrittore fantasma

Molti critici di settore considerano Philip Roth, nato a Newark nel ’33, il più importante autore vivente. Ci si aspettava andasse a lui il Nobel per la Letteratura andato invece a Bob Dylan, e in realtà Roth fa parte di quella cerchia di autori che sono in odore di Nobel da tanti anni e ancora non l’hanno vinto. Nobel a parte, Roth (di cui abbiamo parlato anche qua) ha ricevuto i più importanti riconoscimenti che esistono in campo letterario: ha ricevuto il Premio Pulitzer, il Premio PEN/Faulkner, ha ricevuto la Medaglia d’Oro per la Narrativa, il premio più prestigioso conferito dall’American Academy of Arts and Letters. Oltre a essere osannato dai critici è amato dai lettori, infatti ha venduto milioni di copie. È uno scrittore molto prolifico, ha pubblicato più di venti romanzi, fra i quali due dei più famosi sono Pastorale americana e La macchia umana. Sono due storie distinte e separate; condividono alcuni argomenti perché sono gli argomenti a cui Roth è più sensibile, ma sono, ripeto, due storie distinte e separate. Pastorale americana racconta di Seymour Lenov, detto lo svedese, e della sua famiglia; La macchia umana invece è la storia del professor Coleman Silk e del…
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Il senso di leggere e raccontare – appunti dal secondo reading

Domenica scorsa – 11 dicembre – si è svolto il secondo appuntamento del ciclo di letture Raccontando un libro organizzato insieme agli amici del Vento dello Stretto. In fondo, quello che facciamo in queste occasioni ha qualcosa di simile a quanto avveniva quando le storie hanno iniziato a diffondersi. Si dice che la narrativa sia nata davanti a un fuoco, attorno al quale viandanti, spesso cacciatori, si riunivano appunto per raccontare storie. Lo facevano per rilassarsi, per divertirsi – mancava ancora molto all’invenzione del teatro, per non parlare della tv – e per trasmettere quello che avevano imparato. Quando leggo brani di un romanzo, e ne parlo, davanti a un pubblico, naturalmente cerco di trasmettere sia le stesse emozioni che ho provato a caldo, leggendo quell’opera per la prima volta, sia il risultato delle riflessioni che poi ho fatto sugli stessi brani. Finora credo di esserci riuscito e il secondo appuntamento di Raccontando un libro, dedicato a García Márquez, è andato anche meglio della prima; c’era più gente venuta a assistere, eravamo organizzati meglio per quanto riguarda luce e audio, io stesso mi sentivo più a mio agio. Eppure, proprio mentre leggevo e raccontavo L’amore ai tempi del colera ho capito…
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Trilogia della città di K. di Ágota Kristóf – Una narrazione plurale

Nonostante il titolo stesso parli di trilogia, l’opera di Ágota Kristóf sulle città di K., più che da tre romanzi è composta da tre racconti lunghi contenuti nello stesso volume. Si tratta di una storia ambientata sullo sfondo di una guerra in un imprecisato paese dell’Europa centrale, dove si trova, appunto, la città di K. Nella prima parte, intitolata Il grande quaderno, ci imbattiamo in un tipo di narrazione quasi unica, perché a raccontare la storia è un soggetto plurale. Sono i protagonisti, due gemelli, due bambini affidati dalla propria madre alla nonna, a usare il noi. Seguire il loro noi andiamo, noi facciamo, noi pensiamo è un’esperienza straniante, anche perché ciò che fanno e pensano è caratterizzato da una durezza difficile da immaginare. Ad esempio: Siamo nudi. Ci colpiamo l’un l’altro con una cintura. Diciamo a ogni colpo: – Non fa male. Colpiamo più forte, sempre più forte. Passiamo le mani sopra una fiamma. Ci incidiamo una coscia, il braccio, il petto con un coltello e versiamo dell’alcol sulle ferite. Ogni volta diciamo: – Non fa male. Nel giro di poco tempo non sentiamo effettivamente più nulla. È qualcun altro che ha male, è qualcun altro che si brucia,…
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Diario di un reading letterario visto da dentro

Sabato scorso – 26 novembre 2016 – per la prima volta ho avuto l’opportunità di svolgere un reading letterario, parlando di un romanzo che amo e leggendone alcuni brani davanti a un pubblico. Avevo iniziato a pensare a questo tipo di “lettura raccontata” circa due mesi e mezzo prima, su suggerimento di un amico. In quel momento stavamo discutendo di una presentazione del mio romanzo, e questo amico mi disse: perché non organizzi qualcosa per parlare anche di altri romanzi? L’imbeccata mi è piaciuta subito. Amo leggere, naturalmente, e amo sentir parlare e parlare di romanzi. Ero stato a qualche reading letterario, e di tanti altri reading avevo visto video su internet. Immediatamente ho riflettuto su quali autori – prima ancora che su quali romanzi – concentrarmi. Però ho anche pensato da subito a quali difficoltà avevo davanti, innanzitutto perché non sono, per usare un eufemismo, un organizzatore esperto. C’era bisogno di uno spazio, chiaramente, ma grazie alla disponibilità degli amici del Vento dello Stretto, che hanno messo a disposizione la loro sede, questo problema è stato risolto. Ne restava però un altro, diverso. Fin da quanto ho iniziato a preparare questo ciclo di letture, ero – e sono convinto…
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Il bar delle grandi speranze – A lezione da un premio Pulitzer tra gli alcolici

In genere le biografie dei grandi campioni dello sport, pur vendendo centinaia di migliaia di copie, vengono snobbate dalla critica di settore. Così non è stato per Open, la biografia del tennista Andre Agassi, che è uscita nel 2011 e, oltre a diventare un best-seller internazionale, è stata ottimamente recensita. Questo perché Agassi ha avuto davvero una vita da romanzo – a differenza di altri campioni che, a parte aneddoti di campo o spogliatoio, avrebbero poche cose interessanti da raccontare – e soprattutto perché l’opera ha ricevuto un contributo sostanziale da parte di J. R. Moehringer, vincitore nel 2000 del premio Pulitzer per il giornalismo di approfondimento e costume per il suo ritratto di una isolata comunità fluviale in Alabama dove vivono molti discendenti di schiavi. Prima di collaborare con Agassi, J. R. Moehringer ha pubblicato nel 2005 il suo primo romanzo: Il bar delle grandi speranze. Nell’opera, definita da diverse testate giornalistiche il miglior libro dell’anno, l’autore racconta la propria vita dall’infanzia fino ai venticinque anni, mettendo in risalto il ruolo di un luogo speciale, come si vede fin dall’incipit: Ci andavamo per ogni nostro bisogno. Quando avevamo sete, naturalmente, e fame, e quand’eravamo stanchi morti. Ci andavamo se…
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L’influenza della notte sull’artista e sull’uomo – Sepùlveda e la foresta

Scrivere di notte, e anche leggere, ha tutto un altro sapore rispetto al farlo con la luce del sole che entra dalla finestra, e di questo mi sono convinto presto. Luis Sepùlveda è l’autore del primo libro che ho letto per caso. Fino a un certo punto della mia vita avevo letto solo quei romanzi – di Avventura per ragazzi – che mi erano stati specificatamente regalati da qualcuno. Poi, nell’estate del ’96, durante la villeggiatura al mare, qualcuno lasciò su una mensola della stanza in cui dormivo una copia de Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Per qualche notte – se non ricordo male all’epoca avevo il coprifuoco a mezzanotte – dopo essere tornato a casa e prima di spegnere la luce passai un po’ di tempo con gli animali protagonisti di questa storia. Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare viene considerata una favola per bambini, tanto che spesso la sua lettura è consigliata agli studenti delle scuole elementari o medie, anche se in realtà, visto che parla di accettare e aiutare il diverso, potrebbe essere indicata anche per molti adulti. Ma se Storia di una gabbianella e…
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Lungo il confine tra stenti e sogni con Cormac McCarthy

Uno dei primi motivi per cui si legge è per evadere. Da ragazzini siamo scappati dalla noia delle nostre camerette – e, a volte, dai compiti – per intrufolarci dentro il sottomarino del Capitano Nemo o per raggiungere Labuan insieme a Sandokan. Andando verso l’età adulta, si passa di solito a un altro tipo di narrativa, ma è bello, a volte, tornare all’Avventura, soprattutto quando l’autore di turno è molto di più che uno scrittore di genere. Cormac McCarthy – statunitense classe ’33 – ha raggiunto un’enorme popolarità grazie al fatto che molti suoi romanzi sono poi diventati film; la trasposizione di maggior successo è probabilmente Non è un paese per vecchi, diretto dai fratelli Coen, vincitore di diversi premi agli Oscar del 2008, compreso quello per miglior film. Su queste pagine, abbiamo suggerito la lettura anche del suo La strada. Ma i romanzi di McCarthy di cui voglio parlare sono i tre che compongono la Trilogia della frontiera, e cioè Cavalli selvaggi (portato anch’esso sul grande schermo da Billy Bob Thornton con il titolo Passione ribelle), Oltre il confine, e Città della pianura.  Le tre opere non raccontano un’unica storia – sono infatti autoconclusive – ma condividono l’ambientazione   –…
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